Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

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Afghanistan: l'incertezza del futuro




di © Piergiorgio Pescali

Il 2014 sarà l'anno decisivo per la storia afghana, o almeno è questa la sensazione che viene trasmessa dai principali attori politici e militari operanti nel Paese.
Allo stesso modo era stato definito decisivo il 1973, quando il re Zahir Shah fu detronizzato dal principe Mohammed Daud e la monarchia venne  trasformata in repubblica.
La corruzione dilagò e fu la volta del 1978 ad essere dichiarato anno della svolta, con un Partito Democratico del Popolo Afghano che diede avvio ad una riforma laica del Paese.
Ma il laicismo non piacque ai gruppi islamici che iniziarono a organizzare una resistenza armata. Allora il popolo afghano venne informato che il momento determinate sarebbe avvenuto nel 1979, quando le truppe sovietiche varcarono il confine da nord per guarire l'alleato dalla dipendenza dell'oppio religioso.
Ma, ancora una volta, l'anno risolutivo venne spostato al 1989, quando gli afghani osservarono le stesse truppe sovietiche ripercorrere a ritroso la strada che dieci anni prima avevano calpestato con maggiore spavalderia.
Quando anche il 1989 si rivelò un bluff, venne annunciato che la rinascita della nazione avrebbe avuto inizio nel 1992, allorché migliaia di afghani accolsero le truppe di Massud a Kabul nella speranza che portassero la pace.
La capitale, che era rimasta intatta durante la guerra contro i sovietici, fu pesantemente bombardata dagli stessi afghani, impazziti in una guerra fratricida. E allora l'anno della rinascita afghana fu posticipato al 1996 con l'arrivo dei Taliban.
La società ripiombò in una sorta di oscurantismo religioso, ma finalmente le armi, per la prima volta da più di due decenni, tacquero sull'85 per cento del territorio (il rimanente 15 per cento era controllato dall'Alleanza del Nord di Ahmed Shah Massud e Burhanuddin Rabbani) e la popolazione poteva guardare con più ottimismo al proprio futuro.
Una prospettiva che durò poco; arrivò nuovamente un anno decisivo a sconvolgere le vite degli afghani. Fu il 2001, con l'attentato al World Trade Center, al Pentagono, l'aereo diretto alla Casa Bianca, ma caduto a Shanksville. Sembrava dovesse veramente ribaltarsi il mondo. In pochi mesi i Taliban vennero scalzati dal potere e furono in molti a credere, questa volta con sincera emozione, che qualcosa stesse cambiando. E per il meglio.
Poi la delusione, anzi le delusioni.
La prima, quella più amara perché inaspettata, la fallimentare politica occidentale. Dopo la sconfitta del movimento Taliban tutti si aspettavano che sarebbe cominciata la ricostruzione economica del Paese cosa che, invece, è avvenuta al rallentatore o, addirittura, in alcune province, non è mai stata avviata.
La seconda, questa, invece, prevista perché più difficile da realizzare, la riedificazione di uno status politico e sociale. Le divisioni etniche si sono espresse in tutta la loro dissennata potenza disgregatrice sia nel parlamento nazionale che in quelli locali, influenzando l'intero processo di pace sociale e rimettendo in gioco i Taliban, unica forza apparentemente in grado di proporre un ideale nazionale univoco sotto la bandiera dell'islam.
A favorire il ritorno delle frange taliban ha contribuito notevolmente la propaganda antireligiosa condotta dai movimenti integralisti cristiani europei e statunitensi che ha indotto la popolazione afghana a reagire alle offese gratuite verso la propria fede rifugiandosi in quei gruppi che, secondo loro, più la difendevano.
Ed eccoci al 2014. L'ennesimo anno decisivo della storia afghana che, naturalmente, decisivo non sarà.
Lo si è visto nelle elezioni presidenziali, celebrate in pompa magna e, infine, risoltasi in una indecente baruffa tra i due candidati principali: il tagiko Abdullah Abdullah, ex ministro degli esteri di Karzai, fedelissimo di Massud e favorito alla vittoria finale, che non è arrivata, e il pashtun Ashraf Ghani, ex funzionario della Banca Mondiale il quale, pur di aggiudicarsi la maggioranza, non si è fatto scrupoli ad allearsi con un carismatico criminale di guerra, l'uzbeko Rashid Dostum.
La geografia del voto parla chiaro: gli afghani hanno scelto secondo appartenenza etnica più che sulla base dei programmi elettorali, peraltro molto simili tra loro (entrambe i contendenti sono filoccidentali e si sono pronunciati favorevolmente ad una continuazione della missione militare internazionale confidando in un forte appoggio statunitense).
Le province meridionali, a maggioranza pashtun, assieme alle quattro province settentrionali abitate in prevalenza dagli uzbeki (Kunduz, Jawzjan, Faryab e Sari Pul) si sono espresse a favore di Ghani. Abdullah, invece, ha ottenuto la vittoria nelle province tagike e in quelle sciite. Il risultato è una nazione divisa nettamente in due che dovrà cercare di ritrovare un'unità di programmi se non vuole far precipitare l'Afghanistan di nuovo nell'abisso della guerra civile.
Con la scadenza del mandato Isaf-Nato alle porte, la situazione sul campo militare si fa più pesante. Obama ha già annunciato che il 1° gennaio 2015 inizierà la Resolute Support Mission, in pratica l'appendice della precedente missione militare, che permetterà a 9.800 truppe statunitensi di permanere in Afghanistan fino al 2016.
Una delle prime mosse che i candidati presidenziali han detto di voler fare sarà quella di firmare il Bilateral Security Agreement che, oltre portare la nazione a diventare ufficialmente un alleato degli USA (e non più della Nato) consegnerà alle forze armate afghane la direzione delle basi militari.
Un passo decisivo per concludere l'inteqal, la transizione iniziata nel luglio 2010 e che, nei piani di Washington, prevedeva il controllo del territorio in mani afghane entro la fine del 2014.
La Resolute Support Mission, in qualsiasi modo la si voglia presentare, è la dimostrazione del fallimento di questa transizione.
L'Afghan National Security Forces (ANSF), il corpo militare di 345.000 uomini che comprende l'esercito, le forze di polizia e i servizi segreti, non ha dimostrato di essere in grado di subentrare all'Isaf/Nato, come dimostra il conto dei morti: 8.200 membri dell'ANSF sono stati uccisi nel corso del solo 2013 (contro un totale di 3.400 soldati dell'Isaf/Nato dal 2001 al luglio 2014).
Kabul dovrebbe spendere ogni anno tra i cinque e i sei miliardi di dollari per mantenere in vita il ciclopico apparato, ma le entrate annuali ammontano a soli 2,3 miliardi di dollari.
Questo metterebbe a repentaglio la sopravvivenza (non si parla di nuovi investimenti) dei pochi e mal gestiti progetti sociali sino ad oggi avviati. Lo stesso governo afghano ha ammesso che il 60% degli aiuti assistenziali provenienti dai Paesi donatori sono confluiti nel buco nero dell'ANSF.
Il pericolo maggiore, però, non proviene dalla mancanza di fondi, che potrebbero essere colmati con una migliore gestione degli aiuti. Le forze militari afghane sono un vero concentrato di inefficienza e corruzione. L'Afghan National Police (ANP) è considerato il sacco bucato dell'ANSF: nei suoi registri sarebbero iscritti 151.000 poliziotti, ma secondo l'US Combined Security Transition Command-Afghanistan almeno 54.000 nominativi sarebbero fasulli per permettere agli ufficiali di intascare stipendi e bonus. Sempre l'ANP sarebbe responsabile della maggioranza dei casi di corruzione e di violenze ai danni dei cittadini, mentre i vari comandi, oltre che a concludere patti di non belligeranza con i Taliban, venderebbero loro ingenti quantitativi d'armi.
L'International NGO Safety Organization (INSO) ha rilasciato un rapporto in cui si denunciano rapimenti e uccisioni di cooperanti (92 rapimenti e 14 uccisioni nei soli primi cinque mesi del 2014, contro i 117 rapimenti e le 30 uccisioni di tutto il 2013), mentre la quasi totalità di operatori umanitari si vede costretta a pagare veri e propri dazi alle autorità ed ai signorotti locali per poter entrare nelle zone in cui operano.
Le difficoltà in cui operano le agenzie addette allo sviluppo umano hanno relegato l'Afghanistan al 169° posto (su 187) nella classifica dell'UN Development Index nel 2013.
Non sorprende, dunque, che le forze antigovernative stiano riguadagnando terreno, anche se i contrasti all'interno della galassia Taliban (se ancora esiste un movimento che si possa definire tale) sono ormai evidenti.
Ai vecchi Taliban, a cui fa capo la Shura Suprema, o Shura di Quetta, dalla città pakistana in cui per lungo tempo hanno risieduto i leader, tra cui il Mullah Omar, oggi si sono aggiunti e in molti casi sostituiti, i cosiddetti “nuovi Taliban” che accolgono tra le loro file anche combattenti pashtun pakistani. L'Hizb-e-Islami di Gulbedin Hekmatyar, che ha sede a Bajaur, nella Federal Administration Tribal Area del Pakistan e il Network Haqqani, guidato da Sirajuddin e Jalaluddin Haqqani, che ha posto il suo quartier generale a Miramshah, nel Nord Waziristan si dividono le province afghane in cui operano (Laghman, Kunar, Nuristan, Nagarhar, Paktia, Khost, Lodar, Wardak e Paktika).
Le province di Uruzgan, Zabul, Kandahar e Helmand, che storicamente hanno visto la nascita e lo sviluppo del movimento degli studenti islamici, rimangono solide basi per  la Shura di Quetta.
Ma da questi tre tronconi principali si ramificano una miriade di movimenti che, se da una parte indeboliscono la guerriglia, dall'altra rendono problematico ogni possibile accordo tra i Taliban ed il governo di Kabul, il quale si trova a dover dialogare con più leader senza avere la sicurezza che gli eventuali accordi stipulati vengano rispettati.
Le rivalità tra i vari movimenti si sono evidenziate con l'apertura da parte della Shura Suprema, della sede dell'Emirato Islamico di Afghanistan (il nome del Paese sotto i Taliban) a Doha nel giugno 2013; contestata da numerosi gruppi, tra cui il Mahaz-e-Fedayeen del Mullah Najibullah, che ha tacciato di tradimento il gruppo del Mullah Omar.
Anche le alleanze con al-Qaida oggi sono quasi del tutto scomparse tra i vecchi Taliban, mentre vengono rinsaldate tra i nuovi gruppi, più disposti a stringere accordi interetnici su basi ideologici e religiosi.
Tutto questo ha prodotto un aumento degli attacchi Taliban, in particolare dal 2012 ad oggi. In previsione del ritiro delle truppe straniere e dell'indebolimento dell'apparato militare all'interno della nazione, anche le tattiche ideologiche sono cambiate: gli obiettivi non sono più gli infedeli, ma i munafiqeen, gli ipocriti religiosi.
Ecco, dunque, il fucile che cambia direzione mirando agli stessi musulmani. E con i nuovi Taliban il jihad diventa internazionale: nelle province settentrionali l'Islamic Movement of Uzbekistan, i cui mujahidin sino al 2013 erano stato sempre respinti oltre i confini afghani, stanno avanzando verso l'interno, prendendo posizione nei villaggi uzbeki.
Cambiano gli obiettivi, ma cambiano anche le fonti degli approvvigionamenti. Gli stessi finanziamenti, se prima derivavano principalmente dalla coltivazione dal traffico di droga, oggi provengono dal contrabbando di beni da Dubai e Pakistan, oltreché da estorsioni e dazi imposti al passaggio di merci e persone nei posti di blocco.
Secondo il rapporto dell'UNODC del 2012 (The Global Afghan Opium Trade: A Threat Assesssment), i Taliban guadagnerebbero “solo” 140-170 milioni di USD dalle tasse imposte ai coltivatori e ai trafficanti. Al contrario, l'aumento dei campi d'oppio, che nel solo 2013 sarebbero aumentati del 36 per cento nonostante i governi della coalizione abbiano speso più di 7 miliardi di dollari in operazioni antidroga, sarebbe dovuto alla compiacenza dei governatori e dei signori della guerra locali, in accordo con le forze militari afghane.
In tutto questo quadro il Pakistan giocherà un ruolo fondamentale per il ristabilimento degli equilibri politici e etnici. Il governo di Kabul, dopo anni di accuse verso Islamabad per il suo appoggio dato ai Taliban, sta oggi cambiando atteggiamento, cercando un dialogo che possa portare ad una collaborazione reciproca.
Il governo di Muhammad Nawaz Sharif, però, dovrà fare i conti con i potentissimi servizi segreti, una sorta di mina vagante nella storia politica pakistana. Sono loro, con l'appoggio decisivo di Benazir Bhutto, che negli anni Novanta hanno creato, finanziato ed addestrato i primi studenti delle madrase trasformandoli in quelli che oggi sono noti come Taliban (il cui nome, appunto, significa studenti). Sono loro che offrono protezione e aiuto ai vecchi e nuovi Taliban nella speranza di influenzare e guidare la politica del governo afghano.

Copyright © Piergiorgio Pescali




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